Il caso sottopostoci è tutt’altro che infrequente: la moglie, che per tutela della privacy chiameremo Mevia, in epoca immediatamente antecedente alla celebrazione del matrimonio, sosteneva spese consistenti per la ristrutturazione e l’arredamento dell’appartamento di esclusiva proprietà del futuro marito, destinato a diventare, come in effetti era, casa coniugale. Terminata la ristrutturazione, i due fidanzati si sposavano, optando per il regime della comunione legale dei beni. Nel corso degli anni di matrimonio, Mevia partecipava a successive migliorie apportate all’immobile. Trascorsi, quindi, vari anni, i coniugi convenivano di separarsi. L’interrogativo che ci veniva sottoposto era:
Posso chiedere la restituzione delle spese sostenute, in vista del matrimonio ed in costanza dello stesso, per i miglioramenti della casa coniugale, di esclusiva proprietà di mio marito?
Fine della convivenza
L’interrogativo può essere esteso anche all’ipotesi in cui cessi una convivenza c.d. more uxorio (ovvero in assenza di matrimonio) e la risposta al quesito può valere per entrambe le situazioni, essendo esse sostanzialmente equiparate nella valutazione della giurisprudenza.
Va considerato, in premessa, che ciascuno dei coniugi e/o conviventi, nel corso della vita in comune, è tenuto a contribuire ai bisogni della famiglia e che, durante tale rapporto, è possibile, e non infrequente, che uno dei partner effettui elargizioni patrimoniali, anche rilevanti, o sostenga spese che avvantaggiano unicamente beni o proprietà dell’altro, o effettui contribuzioni di vario genere etc.. Tali attribuzioni patrimoniali, al cessare del rapporto di matrimonio o di convivenza, solitamente sono considerate non ripetibili in quanto qualificate come obbligazioni naturali.
Le obbligazioni naturali sono prestazioni che vengano eseguite non in adempimento di un obbligo giuridico (cioè, non si è tenuti a fare o dare nulla), ma, piuttosto, in esecuzione spontanea di doveri morali e sociali, avvertiti come tali dalla generalità delle persone.
La risposta all'interrogativo, secondo un certo orientamento giurisprudenziale, è affermativa in presenza di certi specifici presupposti.
La sentenza del Tribunale di Brindisi
Difatti il Tribunale di Brindisi con la sentenza 26 maggio 2014, sul punto, si è così pronunciata:
L’eventuale incremento di valore, dovuto ad esborsi del convivente non proprietario, dell’immobile di cui beneficiano il coniuge o il convivente proprietario, non può essere giustificato dall’adempimento degli obblighi morali di convivenza o giuridici (di assistenza morale e materiale e di collaborazione) per la famiglia fondata sul matrimonio, soprattutto quando si tratta di spese “straordinarie” rispetto alle spese, abitualmente supportate da una famiglia in base al tenore di vita. Se pertanto gli esborsi siano apprezzabilmente superiori alle condizioni economiche di chi li effettua, oppure sproporzionati rispetto al tenore familiare complessivo, il venir meno della coabitazione, quale presupposto per una specifica destinazione dell’utilitas al bene familiare, giustifica la restituzione di quell’attribuzione patrimoniale indiretta o del suo equivalente monetario, proprio perché viene meno il dovere di adempiere un dovere giuridico o morale.
Il Tribunale di Brindisi, dunque, con la sopra citata sentenza, ha risolto un caso, analogo alla vicenda sottopostaci e, pertanto, dopo essersi pronunciato sulla separazione di due coniugi, ha dovuto definire, altresì, tra gli stessi alcune problematiche relative alla proprietà dei beni acquistati e alle elargizioni effettuate durante il matrimonio in regime di separazione dei beni.
Più precisamente, il detto Tribunale ha preso in debita considerazione la richiesta avanzata da uno dei due coniugi relativa al riconoscimento delle spese che avrebbe sostenuto per i miglioramenti e le addizioni apportati alla casa famiglia di proprietà dell’altro coniuge.
Secondo il Tribunale di Brindisi l’eventuale incremento di valore dell’immobile di cui beneficiano il coniuge o il convivente proprietario, non può essere giustificato dall’adempimento degli obblighi morali (per la convivenza) o giuridici di assistenza morale e materiale e di collaborazione (per le famiglie fondate sul matrimonio), soprattutto quando si tratta di spese “straordinarie” rispetto agli esborsi, abitualmente supportati da una famiglia in base al tenore economico e sociale.
Ciò che rileva è la proporzionalità dell’esborso rispetto al normale menage familiare.
Se gli esborsi siano apprezzabilmente superiori alle condizioni economiche di chi li pone in essere oppure sproporzionati rispetto al tenore familiare complessivo, il venir meno della coabitazione, quale presupposto per una specifica destinazione dell’utilitas al bene familiare, giustifica la restituzione di quell’attribuzione patrimoniale indiretta o del suo equivalente monetario, proprio perché viene meno il dovere di adempiere un dovere giuridico o morale.
Suprema Corte di Cassazione. Sezione III Civile
Sulla scia del Tribunale di Brindisi, sul punto, una recente pronuncia della Cassazione (Cass. Civ. n.18632 del 22/09/2015, sentenza completa al link Sentenza n. 19548), si è così pronunciata:
ll cessare della convivenza, per effetto di un provvedimento giudiziale o per una scelta concorde, rende ripetibile o indennizzabile un'utilitas che - di per sé, priva di valenza solutoria e, cioè, non giustificata dall'adempimento di un vincolo morale o giuridico - ha cessato di assolvere alla funzione che i coniugi o i conviventi gli hanno assegnato.
Riepilogando
Alla luce di quanto esposto e della giurisprudenza richiamata, è possibile sostenere che
il cessare del matrimonio o della convivenza rende ripetibili o indennizzabili le spese sostenute dal coniuge per miglioramenti e addizioni relative all'immobile adibito a casa coniugale di proprietà dell'altro coniuge.