- coloro che non hanno compiuto la maggiore età;
- gli interdetti per infermità di mente;
- quelli che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di volere nel momento in cui fecero testamento.
In sintesi, tutti possono fare testamento, purché maggiorenni, non dichiarati interdetti con sentenza, o purchè non siano stati naturalmente incapaci di intendere e di volere al momento della redazione della scheda testamentaria.
L’incapacità naturale
Delle tre ipotesi di incapacità previste dall’art. 591 c.c. che quella che crea difficoltà applicative è ovviamente l’ultima. Chi impugna il testamento per incapacità naturale di intendere e di volere del testatore deve, infatti, provare, magari a distanza di anni, che il testamento venne scritto dal testatore in uno stato di alterazione delle capacità cognitive e volitive di questi, anche dipendenti da cause transitorie.
Non si tratta di una prova agevole, posto che, come è facile desumere dai repertori, la giurisprudenza pressoché unanime tende ad accogliere la domanda di annullamento del testamento per lo più e solo in casi di incapacità che risulti totale, conclamata ed estrema.
Non mancano, quindi, istanze di modifiche di tale rigoroso orientamento da parte di alcuni interpreti, soprattutto laddove si tratti di testamento redatto da soggetto non del tutto incapace di intendere e di volere e, pertanto, sì in grado di rendersi conto del significato del proprio testamento, ma, comunque, “vulnerabile” ed “influenzabile” da terzi a causa dell’avanzata età o di malattia (patti, girolami, cinque, cicero –leuzzi).
Il principio consolidato, che la giurisprudenza tramanda di sentenza in sentenza, è quello per cui non è sufficiente ad annullare il testamento la circostanza che, al momento della redazione del testamento, fosse in qualche misura alterato il processo di formazione della volontà del testatore, occorrendo, piuttosto, che lo stato psico – fisico del testatore fosse tale da sopprimere del tutto l’attitudine a determinarsi coscientemente e liberamente, il che deve costituire oggetto di rigorosa prova da parte di chi impugna l’atto.
In altri termini, secondo la giurisprudenza, l’incapacità naturale che consente l’annullamento del testamento deve essere tale per cui, laddove abituale, avrebbe condotto ad una pronuncia di interdizione per infermità di mente, non essendo, perciò, sufficiente il mero decadimento delle facoltà mentali.
Deve trattarsi, in buona sostanza, di incapacità naturale totale ed assoluta, come afferma la Cassazione nella sentenza 6 maggio 2005, Sez. II, n. 9508: “Perché sussista incapacità naturale del testatore, ai fini della nullità per incapacità della scheda, è necessaria non una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche e intellettive del de cuius bensì la prova che, a cagione di un'infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo, in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi. Costituisce, pertanto, onere probatorio a carico di chi assuma l'esistenza di quello stato provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere (Nella specie in applicazione del riferito principio la Suprema corte ha affermato che correttamente il giudice del merito, sulla base delle risultanze istruttorie aveva affermato la validità del testamento atteso che la patologia da cui era affetto il testatore non ne comportava la incapacità nei sensi precisati sopra, risultando dal foglio di dimissioni da un ospedale pubblico, che il de cuius aveva un sensorio integro, era vigile, e orientato nel tempo, nello spazio e nelle persone)”.
Le ragioni di questo rigoroso approccio giurisprudenziale sono molteplici e, in buona parte, condivisibili.
In primo luogo, la tendenza restrittiva della giurisprudenza nasce dall’esigenza di preservare la libertà di autodeterminazione del testatore rispetto alla destinazione dei propri beni, posto che il testatore, per ovvie ragioni, non è più in grado di difendersi e di dimostrare la propria volontà, nonché dalla necessità di tutelare il libero volere del de cuius dal rischio di abusi da parte di parenti delusi.
In secondo luogo, si afferma che se il soggetto solo inabilitato e non interdetto può fare testamento, analogamente deve intendersi capace di testare chi è affetto da un’incapacità naturale che, laddove abituale, avrebbe comportato solo una pronuncia di inabilitazione e non di interdizione.
L’art. 591 c.c., inoltre, utilizza la congiunzione “e” per riferirsi ad entrambe le capacita, “di intendere” e “di volere” che devono aver fatto difetto al momento della redazione del testamento, affinchè esso sia annullabile, dimostrazione concreta, questa, della volontà del legislatore di assicurare la maggior tutela possibile alla conservazione della volontà testamentaria del de cuius.
L’incapacità solo parziale, pertanto, non assume rilevanza, per la giurisprudenza, ai fini della declaratoria di invalidità del testamento.
Gli stati passionali o maniacali non sono normalmente ritenuti tali da rendere il soggetto incapace di testare, a meno che (ad es. testamento ab irato) essi non abbiano provocato nel testatore un tale disordine psichico da privarlo della capacità di intendere e di volere.
Il riferimento dell’incapacità “al momento” del testamento comporta, altresì, che la causa perturbatrice della volontà e dell’autodeterminazione del testatore, sia essa costituita da una malattia o da una qualunque altra causa (stato di ebbrezza, assunzione di droghe etc.), debba aver avuto un effetto diretto sulla redazione del testamento, sicchè occorre accertare l’esistenza di un nesso causale tra il fattore perturbativo e l’atto che ne risulta perturbato, ovvero il testamento.
Nondimeno, gli spazi temporali antecedenti e successivi alla redazione del testamento
La prova dell’incapacità
Partendo dal presupposto che la capacità costituisca la regola e, conseguentemente, l’incapacità l’eccezione, la giurisprudenza conclude che spetta a chi impugna il testamento l’onere di dare prova della dedotta incapacità naturale al momento della redazione dell’atto.
La prova, rigorosa e seria, potrà essere fornita con qualsiasi mezzo, anche se principalmente avranno rilievo le risultanze mediche documentali.
Si afferma, in proposito, che “La semplice produzione in giudizio della cartella clinica del de cuius, riferibile al periodo in cui lo stesso ha redatto il testamento, dalla quale si deduca un banale stato di decadimento fisico tipico dell'età avanzata del testatore ma dal quale non sia dato ricavare con assoluta certezza la sussistenza di una patologia di una gravità tale da compromettere seriamente ed indiscutibilmente la capacità di intendere e volere dello stesso, non è sufficiente, ove non suffragata da ulteriori inequivoci elementi, ai fini dell'annullamento del testamento per incapacità naturale del testatore” (Trib. Milano 7 gennaio 2011).
Potrà essere utile, per appurare lo stato psichico del testatore, indagare il tenore delle disposizioni testamentarie ed utili elementi potranno essere tratti anche dalla grafia utilizzata dal testatore, mentre non è prova di capacità la circostanza che il testamento sia stato redatto in forma chiara ed intellegibile, né la redazione dell’atto in forma pubblica e, pertanto, l’attestazione della capacità del testatore da parte del notaio, impediscono l’impugnazione del testamento pubblico per incapacità naturale.
Come detto, l’onere della prova di dimostrare l’incapacità al momento del testamento grava su chi lo impugna; tuttavia, tale onere si inverte nell’ipotesi in cui il testatore fosse afflitto da uno stato permanente di infermità mentale, poichè, in tal caso, toccherà a chi intende preservare la validità del testamento, dimostrare che l’atto venne redatto in un lucido intervallo nell’ambito di una permanente infermità.
Significativa è, altresì, l’indagine sulla natura dell’eventuale malattia e, conseguentemente, la verifica se essa sia suscettibile di regresso, stabilità o aggravamento, per determinare il grado e l’incidenza del morbo al momento della redazione del testamento.
L’annullamento del testamento per dolo (art. 624)
Uguale rigore applica la giurisprudenza nella diversa fattispecie della domanda di annullamento del testamento per dolo, ricorrente allorquando il testamento risulti essere il frutto e la conseguenza di raggiri ed artifici posti in essere ai danni del testatore allo scopo di indurlo a disporre dei propri beni nel modo voluto dall’autore del dolo.
Per la verità, in questo ambito, sebbene la giurisprudenza sia solita affermare che il “dolo” che consente l’annullamento del testamento non si identifica con qualunque tipo di influenza psicologica, sollecitazione, consiglio, blandizie, ma solo con “veri e propri raggiri e manifestazioni fraudolente che, ingenerando una falsa rappresentazione della realtà, siano in grado di ingannare il testatore” (Cass. 22 aprile 2003 n. 6396), essa è tuttavia maggiormente disposta a dare rilievo a fattori quali l’età del testatore, lo stato di salute e le condizioni di spirito dello stesso, applicando, perciò, un approccio più elastico che tiene conto delle situazioni “caso per caso”.
Ferma restando, però, la necessaria presenza di veri e propri artifici che, in relazione all’età ed alo stato di salute del testatore, siano stati in grado di alterare la sua cognizione della realtà, inducendolo a disporre in un modo in cui non si sarebbe, altrimenti, spontaneamente orientato.
Per ovviare a situazioni talvolta incresciose, alcuni autori (bonilini) hanno avanzato la proposta di novellare il codice civile impedendo che, oltre una certa età, si possa far ricorso al testamento olografo, restando l’unica via del testamento pubblico che, essendo redatto da Notaio in presenza di due testimoni, assicurerebbe l’accertamento della capacità del de cuius.
La proposta, però, è stata fortemente criticata in quanto accede allo scontato automatismo per cui all’avanzare dell’età si accompagna necessariamente la perdita della capacità di intendere e di volere.
Altra proposta è quella di consentire l’uso del testamento olografo solo in presenza di patrimoni esigui, ma anch’essa è stata sottoposta a critiche poiché il rischio di frodi sussiste anche in presenza di patrimoni modesti che, non di meno, debbono essere salvaguardati da abusi.